I Longobardi, sotto la guida del re Alboino, dopo aver vagato in gran parte dell’Europa, nel 568 giunsero in Italia attraverso il Friuli,. Provenivano dalla Pannonia (Ungheria), da dove erano partiti per il sopraggiungere dal popolo mongolo degli Avari, quindi giunsero nella penisola italiana dai valichi delle Alpi orientali senza trovare resistenza.
Occuparono Cividale, la romana Forum Iulii (attualmente la regione Friuli). Qui i Longobardi istituirono il loro primo ducato che fu affidato da Alboino a Gisulfo, suo parente.
A differenza delle altre popolazioni germaniche che si erano stanziate nel passato in Italia, i Longobardi non avevano avuto in precedenza contatti significativi con il mondo romano e il loro trasferimento in Italia non era stato concordato con l’imperatore di Bisanzio. Conseguentemente il loro regno si pose nei confronti della popolazione latina come una dominazione straniera, che per il suo funzionamento non aveva bisogno dell’apporto di elementi locali. I longobardi, infatti, fra tutti i popoli germanici, erano quelli che meno si erano allontanati dai loro usi tradizionali, per cui non solo il re aveva ancora il carattere di un capo militare eletto dall’aristocrazia nei momenti di necessità ma il suo potere era fortemente limitato dall’ordinamento tribale del popolo.
Il monaco longobardo Paolo Diacono alla fine dell’VII secolo ricostruì la storia del popolo longobardo e raccontò che l’esercito si articolava in gruppi di guerrieri appartenenti a famiglie (fare) che si richiamavano a un antenato e sotto la guida dei loro duchi, si muovevano con una certa autonomia, stanziandosi nei vari territori conquistati.
Questo fece sì che le conquiste procedessero soprattutto in base all’iniziativa dei duchi, i quali non avanzavano secondo un piano unitario, ma nelle direzioni in cui incontravano minore resistenza.
Il territorio italiano rimase diviso in aree a dominazione longobarda e aree a dominazione bizantina, questa situazione determinò l’insormontabile contrasto tra Longobardi e Bizantini; questi ultimi, nel 584, risposero all’espansionismo nemico con la creazione dell’esarcato di Ravenna e mantenendo aperto il collegamento di questo con Roma attraverso il cosiddetto “corridoio bizantino” che separava il Ducato di Spoleto dalla Tuscia.
Questa divisione codificò la separazione fisica del regno longobardo in:
- Langobardia Major, che comprendeva tutte le città e i territori delle regioni settentrionali, ad esclusione della Liguria, aggiunta al regno dei Longobardi solo nel 636 con Rotari;
- Langobardia Minor costituita dai ducati centro-meridionali di Spoleto e Benevento, da cui restavano esclusi Capua, Roma, Napoli e la Sicilia.
L'incompletezza della conquista, segnò l’inizio della divisione politica, destinata a
durare fino al XIX secolo, fu provocata oltre che dalla capacità di resistenza dei Bizantini, dallo spirito di autonomia dei duchi, i quali dopo la scomparsa di Alboino e del suo successore Clefi, rinunciarono per ben dieci anni (574-584) a darsi un nuovo re. È il cosiddetto periodo dell’anarchia militare, in cui le condizioni di vita della popolazione latina dovettero essere molto difficili.
I Longobardi non si posero il problema dei rapporti con la popolazione romana, intesa come entità giuridicamente autonoma e dotata di propri ordinamenti ai quali si affiancavano quelli dei Germani, come ai tempi di Odoacre e Teodorico, pertanto i Longobardi seguirono lo stesso percorso di altri regni romano/germanici, ma con maggiore lentezza e con forti resistenze interne. Tuttavia, con la trasformazione in proprietari terrieri e la necessità di difendere i beni acquisiti da un possibile ritorno dei Bizantini, furono indotti a darsi un ordinamento politico più stabile ed evoluto. Adottarono così il modello romano, con conseguente rafforzamento del ruolo del re, che comportava a sua volta la ricerca dell’appoggio dell’apparato cattolico e quindi del consenso anche della popolazione romana.
Fu la restaurazione dell’autorità regia nel 584 ad opera di Autari, il quale si fece cedere dai duchi (circa 30) la metà delle loro terre, per consentire alla monarchia di procurarsi i mezzi necessari per il suo funzionamento.
Ad Autari successe Agilulfo (590-616), con il quale per la prima volta si pose in termini non conflittuali il problema dei rapporti con la Chiesa cattolica, che era allora guidata da Papa Gregorio Magno (590-604). I suoi tentativi di stabilire contatti regolari con la corte di Pavia ebbero successo grazie al fatto che la regina Teodolinda, era cattolica, oltre che influenzata dalla cultura romana.
Ciononostante la conversione in massa dei Longobardi non avvenne nonostante il battesimo con rito cattolico, nel 603, dell’erede al trono, Adaloaldo soprattutto sostenuta della resistenza dei duchi ancora legati alle antiche tradizioni.
Accadde così che ancora per tutto il VII secolo si alternassero sul trono re cattolici e ariani. Tra questi i personaggi di maggiore spicco furono Rotari (636-652), già duca di Brescia, il quale nel 643 fece mettere per iscritto le antiche leggi longobarde e riprese con forza la guerra contro i Bizantini, conquistando poi la Liguria, e il cattolico Liutprando (712-744), probabilmente il più grande re dei Longobardi.
Con lui può dirsi completata la conversione del suo popolo al cattolicesimo nonché in fase assai avanzata il superamento della divisione etnica tra Longobardi e Romani, attraverso il progressivo inserimento dei secondi nella tradizione giuridica dei dominatori. Forte di questa coesione interna, e sperando anche nel consenso del Papato.
Liutprando pensò che fosse giunto il momento di completare la conquista dell’Italia giungendo fino alle porte di Roma.
Papa Gregorio II gli andò allora incontro, appellandosi al suo sentimento religioso, lo convinse non solo a rinunciare alla conquista della città, ma anche a sgombrare le terre già conquistate del ducato romano. Nel rinunciare però al castello di Sutri, presso Viterbo, Liutprando nel 728 lo restituì non all’autorità bizantina, ma alla Chiesa romana.
Questa donazione era soltanto una delle tante donazioni che venivano fatte alla chiesa, ma in questo caso acquistava un evidente valore politico, perché segnava il riconoscimento della sovranità che il papa praticamente esercitava su Roma e sul territorio circostante, esautorando il governatore bizantino.
La conversione al cattolicesimo poteva dirsi completata con i vescovi che provenivano maggiormente dall’aristocrazia longobarda, nonostante ciò in Italia non si realizzò quella convergenza fra potere regio e la curia. Ne fu causa probabilmente l’influenza che sull’episcopato longobardo riusciva ad esercitare il Papato, il quale, legato alla tradizione di Roma imperiale e volendo mantenere una dimensione universale alla sua azione, fu sempre fermamente contrario all’inserimento di Roma in un regno a carattere nazionale.
La discesa di Pipino il Breve (754-756) fu l'inizio di una serie di guerre tra franchi e longobardi per il dominio sull'Italia e per il favore del Papa Adriano I, anche come legittimazione della sovranità nei confronti dell'impero bizantino. Nel periodo di Astolfo (749-756) e del suo successore Desiderio (756-774) non fu più possibile tenere a freno l’espansionismo della monarchia longobarda. Per ristabilire un rapporto positivo nel 770 il re Desiderio cercò di arrivare alla pace concedendo la mano della propria figlia Ermengarda al re dei franchi Carlo, che sarebbe poi elevato a grande fama con il nome di Carlomagno. Ma i rapporti ben presto tracollarono di nuovo e nel 772, quando il Papa chiese aiuto a Carlo contro la minaccia longobarda, questi, che nel frattempo aveva ripudiato Ermengarda per sposare Ildegarda, scese in Italia e detronizzò Desiderio nel 774, assunse il titolo di "re dei franchi e dei longobardi". Questi ultimi finirono per integrarsi con i latini, mentre i Ducati di Spoleto e di Benevento mantennero per un lungo periodo la propria autonomia. L’Italia ex-longobarda restò sotto il dominio dei Franchi.